L’architetto Antonio Curri è cresciuto nella miseria, a pane e pietre. Diventò figlio di Napoli senza mai dimenticare le radici.
Passeggiando per le viuzze del centro, oggi capita molto spesso, come nei borghi antichi meridionali, di imbattersi in abitazioni con finestre e porte tenute ben aperte. Il calore di un braciere acceso all’interno di un trullo sprigiona all’esterno, spingendo tutti i suoi profumi nell’aria. La domenica mattina si possono sentire gli aromi del basilico o del ragù di carne sul fuoco, a cuocere lentamente, come è giusto che sia.
Oggi è davvero possibile imbattersi in scenari di questo genere. Esperienze uniche per i tanti turisti che percorrono, per esempio, le faticose salite del Rione Monti, addolcite dai sapori di stagione e dai colori delle botteghe artigiane.
Da quelle casette proviene l’orgoglio della Alberobello internazionale di oggi. Ma dietro quelle mura di pietra oggi spalancate al mondo, si nasconde ancora la “vergogna” di quello che siamo stati in passato, la paura e la miseria, la povertà.
L’orgoglio riconquistato a fatica, dopo anni di cure e attenzioni al paesaggio culturale e storico di Alberobello, lo dobbiamo anche ai figli della terra, migrati altrove, lontano, ma che hanno contribuito alla rinascita della città dei trulli.
Certamente uno dei figli illustri di questa terra è l’architetto Antonio Curri.
Nato ad Alberobello nel 1848, l’architetto Curri ebbe un’adolescenza umile e travagliata. Come ricorda il sito “Itrullidialberobello.it”, Antonio era un modesto garzone che il padre, capomastro, aveva destinato ai lavori di muratura.
Da muratore artigiano povero, il piccolo Antonio non poteva ancora immaginare che in un’epoca “bella” sarebbe diventato una personalità rilevante dell’architettura della Napoli ottocentesca.
Antonio non dimenticherà mai le suo radici, quelle di un bambino nato nel piccolo palazzetto a cummersa del 1831 tra Piazza del Popolo (ex Piazza della Vittoria o Vittorio Emanuele II) e la Piazza 27 maggio 1797 (ex Piazza delle Erbe). Nacque da Porzia Greco e da Tommaso Curri, ed era secondo di otto figli, in un periodo in cui i figli erano numerosi e destinati al mantenimento di tutta la famiglia. Certamente da non avviare agli studi più sopraffini.
Ma lui ha un carattere vivace, scolaro ribelle, da giovane viene inviato a Martina Franca per prendere lezioni di disegno e subisce il richiamo delle camicie rosse garibaldine. È in questo periodo che il suo talento di scultore viene fuori. Di lui, tempo dopo, Giuseppe Notarnicola scriverà così: “Lavora da scalpellino e istintivamente scolpisce frutta, ornati e teste nella pietra tenera. Bisogna imparare a disegnare e si reca da un mediocre pittore di un paese vicino. Dopo poche lezioni, non fa che disegnare col carbone figure greche, capitelli, sui muri lisci e imbianchiti delle case, attirandosi gli scapaccioni e le invettive dei padroni”.
Non sarà un percorso facile.
Il suo destino lo porterà a stabilizzarsi nella città partenopea, dove si trasferisce nel 1865, sposando poi Maria Giovanna Rongo dalla quale non avrà figli. A Napoli si procura da vivere modellando figurine di argilla, realizzando schizzi e disegni e dipingendo quadretti in genere; contemporaneamente frequenta l’istituto di Belle Arti.
Ma lascerà un segno tangibile nella sua città dei trulli. Dalla Chiesa dei Santi Cosma e Damiano al cimitero monumentale, fino all’obelisco in Piazza del Popolo al Palazzo Agrusti. Si occupò del completamento del Municipio costruito dal padre Tommaso, Villa-Casino Curri (non più fruibile perché lottizzato).
È diventato figlio di Napoli con la ristrutturazione e decorazione del noto ed elegante Caffè Gambrinus (a cui diede anche il nome) in piazza del Plebiscito. Ma anche con le decorazioni della Galleria Umberto. Il Teatro Garibaldi di Santa Maria Capua Vetere, soprannominato il “piccolo San Carlo”, porterà la sua firma e sarà realizzato dal 1889 al 1896, e inaugurato il 12 aprile 1896.
L’architetto Curri si è dedicato anche alle arti figurative. Del Curri pittore si ricordano in particolar modo il disegno della culla offerta dal Comune di Napoli all’allora principe ereditario Vittorio Emanuele, un ciborio in argento per la chiesa matrice di Torre Annunziata e numerosi quadri. Tra di essi spicca un dipinto realizzato in occasione del giubileo papale, raffigurante lo svolgimento dell’arte cristiana dalle catacombe a San Pietro.
Curri realizza una serie di progetti che lo portano alla notorietà, tanto che lo stesso Saverio La Sorsa lo qualifica come il più grande architetto pugliese dell’Ottocento. Fra essi, benché non eseguiti, si ricordano il progetto per il monumento a Vittorio Emanuele II in Roma, quelli per la nuova aula del Palazzo di Montecitorio e per il nuovo Piano Regolatore di Roma.
Questa è la storia di un bambino “inquieto” cresciuto nella miseria, a pane e pietre, che raggiungerà il successo senza mai dimenticare le sue radici. Senza mai serbare rancore per quella che è stata un’ “amara terra” nostra. Oggi ricca grazie anche alle sue fatiche.