Il ristorante L’Aratro porta avanti l’identità culinaria della storia e del nostro territorio.
Domenico Laera sente ancora il lontano richiamo dei suoi genitori, con le mani sporche di fatica e di terra. “Domenico, metti l’acqua. Domenico accendi il fuoco. A mollo i legumi che stiamo tornando dalla campagna”. Questo è un po’ il richiamo della sua terra. Delle origini e di un’identità da tramandare alle future generazioni e da difendere con tutte le forze. Nasce così la passione per la ristorazione di Domenico Laera che non vuole definirsi uno chef e porta avanti la sua battaglia per la difesa della nostra terra. Nasce così il ristorante “L’Aratro”. Nel lontano 1987, quando Alberobello muoveva i primi passi verso la consacrazione mondiale.
“Mi definisco uno chef fatto in casa, figlio della terra contadina. Conservo sempre la mia filosofia contadina con i piatti del territorio. Territorio e memoria. I piatti sono il frutto della mia esperienza e della mia memoria. Del mio vissuto. È la terra che mi dà lo spunto per creare. Non faccio fusioni e guardo con attenzione alla biodiversità e al ciclo naturale dei prodotti”. Domenico Laera crede molto nel “rispetto del prossimo, che è una risorsa di vita e umana”.
I piatti raccontano la nostra terra e restano eterni. I cosiddetti “piatti poveri” tanto ricercati ora dai visitatori. Fave e cicorie, ceci neri, orecchiette con cime di rape, zuppa di fagioli, i cavolfiori, il capocollo di Martina Franca, grano con patate e cozze, verza, carne cotta su carboni vegetali, terracotta per cuocere i cibi, agnello patate e lampascioni. Solo per citare alcuni piatti.
In questa battaglia per la difesa di un’identità forte e radicata Domenico Laera non è solo. “Alberobello è sulla strada giusta – osserva Laera – Molte località turistiche non hanno rispetto di quel visitatore e essere umano. Sembra che i turisti debbano farci un favore, invece dobbiamo dire grazie a loro che sono qui. Alberobello sta invece preservando la sua identità, raggiungendo un giusto equilibrio”.
Al ristorante L’Aratro ci sono ancora i pomodori appesi che ciondolano e prendono sapore col tempo. La pratica dei pomodori appesi rievoca il passato, sono il simbolo del sacrificio e della povertà, di un piccolo mondo antico che scalda il cuore dei turisti. L’ingrediente segreto è amare la terra. “Se amassimo di più la terra avremmo più rispetto di noi stessi”.