Non solo trulli e monumenti. Ma anche un territorio molto vasto: dall’Oasi Bosco Selva al Neviere Massariola. Incontrando il cervone: l’innocua “serpa gnure”, il serpente nero.
Il giorno dopo la sua scomparsa, il 24 maggio 2002, il quotidiano “Repubblica ricordava il grande cantautore ligure Umberto Bindi. Il “Califfo”, così lo soprannominarono, dietro la maschera del duro dalla vita spericolata, conobbe il successo nei primi anni Sessanta, dopo che un suo brano, “I trulli di Alberobello”, era stato cantato al Festival di Sanremo dal duo Fasano e Aurelio Fierro. Iniziò allora la sua stagione da divo, da mattatore, cui piaceva scandalizzare. Si esibiva sui palcoscenici più prestigiosi indossando pellicce e senza nascondere la sua omosessualità. Ma furono proprio questi atteggiamenti che lo portarono, in un’Italia ancora legata a valori tradizionali, a un progressivo isolamento nonostante le sue composizioni avessero fatto il giro del mondo incise da personaggi come Dionne Warwick e Tom Jones.
Bindi veniva da lontano e guardava avanti di decenni. Era avanguardia pura. Ma Alberobello, con le sue radici solide e slanciate verso il futuro cambiamento, lo stregò. Così scriveva e cantava: “sotto i trulli di Alberobello si è felici pur senza una lira, forse è colpa di un certo vinello che fa dire trullallero lallà… guardando quei prati smaglianti di fior si torna bambini si crede alla favole ancor…”.
Bindi aveva colto l’aspetto più fiabesco del territorio alberobellese, riuscendo a raccontarlo con occhi da esterno, di chi veniva da così lontano.
Bindi ha posato il suo sguardo restando ammaliato di fronte al bianco accecante dei trulli, il grigio-argento delle chiancole, l’azzurro del cielo terso, il fulvo dei campi, il rosa delle orchidee selvatiche, il violaceo dei grappoli di uva, il verdaceo delle melecotogne, il perlato rosaceo delle melegranate, il fulvo dei loti, il castano delle nespole, il rubino degli ultimi pomodori appesi a maturare all’esterno dei trulli o all’interno delle cantinole.
Il cantautore, nato a Bogliasco nel 1932, ha potuto esplorare l’intero territorio di Alberobello. È tutto ciò che oggi fa da preziosa cornice ai monti monumentali del centro.
Vale la pena immergersi nell’Oasi di protezione Bosco Selva, a circa 800 metri dal centro abitato. L’Oasi consiste in un querceto misto di fragno (Quercus trojana) di Roverella (Quercus pubescens), che ammanta un’area collinare ondulata, degradante attraverso una profonda lama verso la campagna circostante. L’interesse naturalistico del biotopo si deve alla presenza del fragno, specie quercina, esclusiva del territorio della Murgia del Sud-Est, nel cuore della quale si trova il sito. I comodi sentieri che percorrono il Bosco Selva consentono una visita interessante per l’osservazione di numerose specie botaniche tipiche dell’area mediterranea, tra cui la Peonia (Peonia mascula) e le orchidee selvatiche del genere Ophis e Orchis. L’Oasi naturalistica ospita, tra i mammiferi, la Volpe (Vulpes vulpes); tra i rettili il Cervone (Elaphe quartorlineata), chiamata anche “serpa gnure, serpente nero” e il Colubro leopardino (Elaphe situla). In due stagni è possibile osservare tra gli anfibi il Rospo comune (Bufo bufo) e il Tritone (Triturus italicus). L’avifauna è rappresentata da numerose specie, tra cui l’Upupa (Upupa epops) e la Ghiandaia ( Garrulus glandarius). Dopo una visita al centro storico dei trulli, è facilmente raggiungere il parco per effettuare piacevoli escursioni libere o guidate, a contatto con un’area naturale di incomparabile bellezza.
E come non esplorare la contrada di Correggia. Frazione di Alberobello e distante da questa tre chilometri, anticamente apparteneva al territorio della città di Egnatia 1. Il nome Coreggia è da ricondurre alla presenza dei veneziani nella masseria Cavallerizza, nel vicino Canale. Nel periodo 1495-1532, infatti, i cavalli di razza, selezionati e allevati nella masseria e addestrati presso la vicina località Impalata, erano condotti qui per ricevere le corregge.
Nel 1748 si costruì una piccola cappella che, aperta al culto nel 1805, fu donata alla parrocchia di Alberobello. Questa, nella seconda metà dell´Ottocento, fu ampliata e intitolata alla Madonna del Rosario.
La borgata restò territorio di Monopoli fino a che, a termine di una lunga contesa, il Sindaco di Alberobello ne ottenne l´annessione. Una lapide, posta all´ingresso di Coreggia, collocata presso la citata chiesetta, ricorda l´avvenimento con queste parole: “Questa zona che ammiri, adorna di viti, di ulivi e di casette, già coltivata dai vecchi coloni alberobellesi, molto premurandosi il Sindaco Cav. Angelo Turi, per compirsi i voti dei cittadini e i tentativi dei loro Capi, il Re Umberto I, sottrattala alla giurisdizione di Monopoli, l´aggregò al Comune di Alberobello l´anno del Signore 1895”.
Il paesaggio si fa ancora più selvatico e antico in località Barsento. Si estende tra i territori dei comuni di Alberobello, Noci, Putignano e Castellana Grotte, altre località da visitare. Il toponimo Barsento, di origine messapica, significa che è alto, forte. L´origine del toponimo e il ritrovamento di reperti archeologici, hanno ricondotto l´origine del sito al periodo preellenico. Il villaggio si accrebbe in epoca romana. Lo storico Domenico Morea, nel 1892 dedusse, dall´analisi di antiche pergamene, che il casale era inserito lungo la Via Barsentana, al crocevia delle strade provenienti dalla città di Taranto e dai vicini centri di Conversano e Monopoli. Secondo alcuni storici locali, il casale sarebbe andato distrutto tra il nono e l´undicesimo secolo. Unica testimonianza rimasta è la chiesa di S. Maria di Barsento e l´annesso presunto monastero, ma anche sulla loro origine vi sono svariate ipotesi.
Alcuni studiosi rimandano la fondazione della badia all´età gregoriana. Lo storico dell´arte E. Bertaux, in una sua pubblicazione dei primi del Novecento, ricondusse l´edificio al sesto secolo. Le altre due ipotesi, circa una plausibile datazione, scaturiscono dall´analisi architettonica della struttura e dai dati materiali. La prima riporta la fondazione all´età altomedievale o longobarda e, per le analogie con chiese come S. Ilario di Benevento, data la costruzione fra l´800 e l´840. La seconda ipotesi rimanda al periodo romanico.
L´Associazione pro oasi del Barsento, costituitasi nel 1995, oltre ad incentivare le ricerche sul sito, cerca di tutelare gli aspetti storico-architettonici, non solo della chiesa, ma anche delle numerose masserie presenti nell´area. Rilevanti sono, per storia e tipologia, le masserie I Monti, Papa Perta, Parco della casetta e Vaccari Contessa. Presso la masseria Angiulli è ancora possibile visitare un trullo con una particolare pavimentazione detta a pietra ficcata, costituita da piccoli e medi conci calcarei, di forma di tronco-conica, conficcati nel terreno anche grazie al peso degli armenti e al loro continuo passaggio. Da citare, inoltre, la Grotta del sapone e quella della Madonna, connesse alla storia locale, al culto e a particolari leggende popolari. Date le caratteristiche e la particolare ricchezza dell´intero territorio di Barsento, La Regione Puglia dal 1997, esponendo motivazioni di salvaguardia sia antropiche sia naturalistiche, ha reso, parte di quest´area, riserva naturale orientata regionale.
Il nostro viaggio alla scoperta del territorio circostante potrebbe continuare ancora, attraverso “Il Canale”, un vasto bacino carsico, una delle zone più fertili della Puglia grazie a un fondovalle ricoperto da un manto di terra rossa. Un antico solco fluviale.
Per concludere (ma non è questa la fine) potremmo recarci al Neviere Massariola, una delle poche neviere ancora esistenti, a tre chilometri da Alberobello, sulla Strada Statale 172 dei Trulli, tra le masserie Chietri e Badessa. Questa costruzione era destinata alla conservazione della neve che, ammassata nei mesi invernali, era venduta, ghiacciata, a partire dal mese di giugno.
Alberobello è per tutte le stagioni.